Questo articolo fa parte di una serie che raccoglie le riflessioni dello studio intorno alle tematiche AI e delle sue applicazioni. Se non vuoi perderti nemmeno una storia di Sketchin, iscriviti alla nostra newsletter.
AI-Powered Design
Il design thinking e i processi AI-Powered
La ricerca qualitativa in un’epoca di automazione resta fondamentale per cogliere le sfumature emotive e culturali degli utenti. Una sinergia tra AI e comprensione umana rappresenta il futuro del design ma è la ricerca antropologica che permette ai designer di identificare bisogni inespressi, fornendo insight cruciali per soluzioni davvero funzionali.
Design Director
10.06.2024 - 8 minuti di lettura
Leggendo “Il design thinking e i processi AI-Powered”, non preoccupatevi, questo non è il solito articolo che vi spiega come l'intelligenza artificiale possa snellire l'intero processo e permetterci di ottenere risultati immediati. Al contrario, vogliamo concentrarci su un aspetto cruciale che non possiamo trascurare: la fase di "Empathize". Esatto, avete capito bene: non possiamo ignorare l'importanza crescente della ricerca e, se siete curiosi di sapere quale sarà la competenza chiave dei designer del futuro, è proprio la capacità di mettersi nei panni degli altri, come attori metodici prima di interpretare un ruolo.
Non stiamo parlando di ricerca o della fase di “Empathize” come di un semplice scambio di battute davanti a una tazza di tè, una desk research o qualche dato preso qua e là. Ci riferiamo alla vera e propria ricerca utente, a quella di matrice antropologica - sì, quella seria con tanto di field research, interviste approfondite e tutto il corredo necessario. E mentre alcuni potrebbero pensare che, in un'era dominata dall'intelligenza artificiale, queste pratiche possano sembrare un po' "datate", vogliamo chiarire che niente potrebbe essere più falso.
L'AI, con tutta la sua “magia”, ci aiuta molto, specialmente quando si tratta di semplificare le fasi più operative come la prototipazione, i test e l'implementazione. Tuttavia, quando si tratta di comprendere veramente gli utenti, di cogliere quelle sottili e dettagliate sfumature che fanno la differenza, di quei bisogni inespressi che neanche gli utenti stessi riescono a identificare, ecco che l'AI deve cedere il posto all'umanità. Perché nel design thinking, empatizzare non è solo una fase: è l'arte di ascoltare e interpretare l'essenza umana, e su questo fronte l'AI ha ancora molto da apprendere.
La ricerca qualitativa, al contrario dei dati quantitativi, esplora il 'come' e il 'perché' dietro le azioni e i pensieri degli utenti, fornendo una ricca comprensione delle loro motivazioni, sentimenti e comportamenti. Mentre l'AI può identificare modelli e tendenze, solo attraverso interviste, osservazioni sul campo e studi etnografici i designer possono accedere alle sfumature, alle peculiarità e ai bisogni latenti degli utenti. Metodi che rivelano le necessità nascoste e i desideri non ancora completamente articolati, offrendo spunti essenziali per definire i problemi reali e le opportunità di innovazione. La ricerca qualitativa permette ai designer di identificare le questioni progettuali più rilevanti e cruciali, che sono il fondamento per soluzioni veramente innovative.
Mentre l'AI può accelerare e ottimizzare le fasi più meccaniche di prototipazione e test, automatizzando la raccolta e l'analisi di grandi volumi di dati, non può sostituire la comprensione umana che emerge dalla ricerca qualitativa. Le macchine possono riconoscere schemi e categorizzare informazioni, ma mancano della capacità di percepire le sottigliezze emotive e culturali che definiscono l'esperienza umana. In questo contesto, l'AI serve come strumento che affianca il designer, liberando risorse che possono essere meglio investite nell'immersione profonda nel contesto e nelle esigenze dell'utente.
Il nuovo ruolo del designer
Il ruolo del designer, come ci stanno dicendo tutti, e come vediamo ogni giorno sta evolvendo. Non vogliamo parlare di come e perché, è già stato detto e analizzato troppe volte, e soprattutto è un processo costante (il design stesso evolve con il tempo, e ciò che è oggi non è ciò che sarà domani).
Quello che possiamo dire è che il designer sarà sempre più interprete della realtà umana. Non un’artista, ma un analizzatore dell’umanità. In un mondo sempre più mediato dalla tecnologia, la capacità di comprendere profondamente gli altri e di interpretare i bisogni umani diventa un valore inestimabile. Il futuro vedrà i designer impegnarsi maggiormente in attività di ricerca, assumendo un ruolo simile a quello di un ricercatore o psicologo, unendo i punti in modi nuovi e creativi per scoprire gli insight più rilevanti e significativi. Questa evoluzione li posizionerà come mediatori critici tra la tecnologia e l'umanità, interpreti capaci di trasformare complessità e diversità in innovazioni che rispondono veramente alle esigenze umane.
Come possono collaborare AI e designer
Scomodando la filosofia (che sempre più ci riguarda in quanto designer) come guida nel mondo dell’etica e dell’analisi, nel contesto del design thinking, la fusione di metodi deduttivi e induttivi, come proposto da Hempel e Oppenheim, dimostra come il percorso della conoscenza possa essere tracciato sia dall'alto verso il basso che dal basso verso l'alto, integrando l'empirismo con astrazioni sempre più elevate. Questo doppio movimento di conoscenza diventa un ciclo continuo dove la deduzione porta da concetti generali a realtà specifiche, mentre l'induzione sale da osservazioni particolari a generalizzazioni.
Kurt Gödel con i suoi teoremi d'incompletezza ci insegna una lezione preziosa: nessun sistema logico (come l'AI) può considerarsi completo e autosufficiente senza qualche forma di input esterno, in questo caso, l'input umano. Questo è particolarmente rilevante nel design, dove gli assiomi su cui si basano le soluzioni possono essere definiti solo dall'intelligenza umana. Gli assiomi, per Gödel, non possono derivare dal sistema che li utilizza, da qui il bisogno di una prospettiva esterna, che nel contesto del design è fornita dall'empatia e dall'intuizione umana, mentre il sistema di analisi è quello dell’AI.
L'integrazione tra AI e design non si limita solo a una collaborazione funzionale ma evolve verso una simbiosi più profonda, dove ogni elemento porta qualcosa di unico al tavolo. Dire che l'AI offre velocità, efficienza e la capacità di gestire grandi set di dati, mentre il designer offre la comprensione, la creatività e l'empatia è riduttivo: questa collaborazione porta a quello che potremmo chiamare un "ciclo di innovazione assistito", dove il designer raccoglie intuizioni e deduzioni dalla ricerca qualitativa, l'AI aiuta a identificare nuove opportunità e sempre il designer interpreta e modella queste opportunità in soluzioni che rispondono genuinamente alle esigenze umane. È l’umanità del designer quella che può definire quindi l’efficacia e il successo di una soluzione rispetto ad un altra. L’unicità della comprensione e dell'individuazione della strada da intraprendere è l'ingrediente che rende difatti utile e non standardizzato il lavoro dell’AI.
Negli scenari di futuro più avanzati, in contesti dove le AI collaboreranno direttamente con altre AI il rischio è infatti quello di ricadere in un loop di informazioni standardizzate e simili che riproducono e ripropongono quindi soluzioni sempre omologate, portando quindi ad un abbassamento dell’innovazione nel processo di design e anche dell’ evoluzione di idee ed esperienze di prodotto/servizio. Nel contesto del design thinking e dei processi abilitati dall'intelligenza artificiale infatti, è fondamentale non sottovalutare le limitazioni di questa tecnologia. In particolare, la comprensione contestuale e emotiva rimane una sfida significativa per l'AI, che spesso non riesce a cogliere i sentimenti sottili o il contesto più ampio che influenzano il comportamento umano. Ad esempio, nel design di nuovi prodotti di assistenza sanitaria, l'AI può rilevare schemi di utilizzo ma non l'ansia o il disagio emotivo degli utenti (non può identificare a fondo il perché delle reazioni di un genitore nei confronti di un figlio malato).
Inoltre, non dimentichiamo che il bias nei dati è un'altra limitazione critica. L'AI riflette i pregiudizi presenti nei dati di addestramento. Questo è emerso chiaramente nel caso di algoritmi di riconoscimento facciale che hanno mostrato tassi di errore più elevati con volti di etnie non rappresentate adeguatamente nei set di dati. Nel design, un simile bias può risultare in prodotti che non sono adeguati o equi per tutti gli utenti. È quindi fondamentale una comprensione imparziale delle esigenze dell'utente, e soprattutto non schematica, cosa che si potrebbe evitare con una ricerca condotta da designer e ricercatori utenti istruiti e formati.
Il futuro del design
La creatività rappresenta un'altra area in cui l'AI è limitata. Sebbene possa generare soluzioni basate su parametri definiti, le sue capacità di pensare oltre gli schemi convenzionali non eguagliano quelle umane. La creatività umana può scoprire connessioni inaspettate e insight derivati da esperienze personali, aspetti che l'AI non può facilmente replicare.
Per superare queste limitazioni, una collaborazione stretta tra umani e AI è essenziale, e può essere particolarmente efficace in progetti complessi come quelli di design urbano, dove l'AI analizza i dati di traffico e utilizzo degli spazi, mentre i designer interpretano questi dati in relazione alle esigenze sociali e culturali. Un'altra strategia per mitigare i bias consiste nella formazione continua degli algoritmi con set di dati diversificati e una valutazione regolare delle performance dell'AI. Questo impegno costante potrebbe aiutare a identificare e correggere i bias emergenti, garantendo che i sistemi AI rimangano equi e rappresentativi. Questo vuol dire continuare a impostare ricerche qualitative condotte da designer che vadano a informare in modalità costante le AI.
Il futuro del design non dipende solo dall'adozione di nuove tecnologie, ma crucialmente dalla capacità di mantenere e valorizzare la connessione umana. Il designer del futuro è chiamato a essere un operatore tecnologico che sappia farsi anche interprete della complessità umana, un ponte indispensabile tra la tecnologia e le variegate sfaccettature della vita umana, trasformando sfide tecniche in soluzioni che rispondono autenticamente alle esigenze umane.
L'AI sta trasformando i processi di design rendendoli più efficienti, ma la vera essenza del design thinking resta radicata nella comprensione umana. In un mondo che pone sempre più enfasi sull'efficienza e sulla velocità, il futuro del design si configura come una questione di capacità di utilizzare nuove tecnologie, ma anche e soprattutto di mantenere una profonda connessione con l'umanità. Il designer del futuro, quindi, è ancor più un ponte essenziale tra la tecnologia e le svariate complessità della vita umana.
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